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Stili di Aikido e diffusione in italia

Da dove nasce la diversità dell'aikido praticato nei diversi dojo?

Su Wikipedia ho trovato un paio di articoli che spiegano brevemente questo argomento.

Diffusione dell'aikido nel mondo 

Diffusione dell'aikido in Italia

 

 

 

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la disciplina

la disciplina del guerriero – tratto dal libro del Bushido

di Ovosan

Una volta che sei pervaso dallo spirito guerriero, l'essenziale è attenersi alla disciplina.  Il termine " Disciplina" in origine deriva dalla parola che indica i NODI DEL BAMBU' .  IL bambù ha in origine l'energia per crescere fino al cielo, ma se non ci fossero quei nodi regolari non potrebbe resistere alla neve e al gelo, e sopravvivere alle quattro stagioni senza cambiare colore.  Allo stesso modo , se il comportamento di un guerriero è vigoroso ma non disciplinato, come può essere veramente efficace?

meditate gente, meditate

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le donne samurai

Le Donne Samurai

Il fiore di ciliegio è l’immagine di un’idea di bellezza perfetta ma effimera, perchè un solo colpo di vento basta a distruggerlo. Metafora fin troppo accattivante per il guerriero, che facilmente vi scorgeva il riflesso della vacuità della propria esistenza e l’inconsistenza dei risultati conseguiti lungo il faticoso percorso di formazione nelle arti di combattimento, una perfetta combinazione di precisione, efficacia ed eleganza che, tuttavia, in ogni momento, un occasionale colpo di spada poteva vanificare. Una visione non tragica ma "naturale" della vita, da parte di chi considerava la morte in battaglia l’unica via possibile per "chiudere" la propria esistenza terrena.
Adottato quindi come emblema della classe dei samurai, il fiore di ciliegio ha mantenuto nel tempo il suo fascino magico ed è ormai assunto a scontata costante dell’iconografia delle arti marziali attualmente praticate. Un antico verso, ancora oggi ricordato, suona così:

hana wa sakuragi,
     hito wa bushi

                  ovvero:

tra i fiori il ciliegio,
                        tra gli uomini il guerriero

Ma il "guerriero" alloggiava forse solo fra gli uomini giapponesi? Certamente no! Nel Giappone Antico, attraversato dagli scontri armati e dalle lotte di potere, per trovare un "guerriero" si poteva benissimo cercare oltre il genere maschile.
Nel primo periodo feudale, infatti, le donne dei samurai, erano costrette a passare lunghi periodi contando sulle sole proprie forze, condizione che rese il loro ruolo e la loro presenza fondamentali per tutto ciò che riguardava la sopravvivenza della famiglia.
Esse arrivarono ad assumersi gran parte della gestione finanziaria ed economica delle proprie case e la loro opinione su tutto ciò che riguardava il benessere della famiglia era tenuta in altissima considerazione. La loro stessa educazione prevedeva poi un allenamento costante nelle arti marziali. L’arma prediletta, nel cui uso le donne dei clan eccellevano, era la "naginata", micidiale combinazione di un’affilata lama montata su di un lungo e robusto bastone. Grazie all’estrema versatilità di quest’arma, una donna coinvolta in un combattimento contro corpulenti aggressori, riusciva comunque a compensare il divario fra la propria prestanza fisica e quella dei suoi avversari. Donne quindi che sapevano adattarsi ai tempi e che arrivavano anche a seguire i propri uomini in battaglia combattendo al loro fianco fino alla fine. In uno scenario come questo, popolato da donne chiamate a difendere le loro famiglie da possibili aggressioni o impegnate sui campi di battaglia accanto ai loro uomini, prese inevitabilmente forma la figura della donna guerriero, che impugnata la naginata ed armata di tutto punto sapeva diventare fiera testimone dei valori del bushido: lealtà, onore, coraggio.
La più famosa fra le eroine che popolano l'immaginario popolare nipponico è senza dubbio
Tomoe Gozen (1161-1184), le cui vicende ci provengono dalle numerose novelle e leggende a lei dedicate, nonchè dall’opera "Heike Monogatari" , poema epico che risale al periodo dello Shogunato Kamakura e che raccoglie il ciclo di cronache belliche della guerra tra i Minamoto e i Taira.

Legata al generale Minamoto Yoshinaka, sua concubina o sposa, Tomoe Gozen ebbe un ruolo di certo non marginale durante la guerra dei Genpei (1180-1185), grazie alle sue straordinarie doti marziali, al suo lignaggio e al suo impetuoso coraggio di guerriera.
Nell’opera "Heike Monogatari", ella viene descritta come una donna particolarmente bella, con la pelle bianca, lunghi capelli e tratti affascinanti. Ma anche la sua abilità marziale veniva ampiamente elogiata: arciere formidabile ed abile spadaccina, guerriero di valore, pronta a confrontarsi con demoni e dei, a cavallo o a piedi, in grado di cavalcare destrieri indomabili dalle splendide criniere lungo ripidi pendii. Ovunque la battaglia fosse imminente, il generale
Minamoto Yoshinaka la mandava in avanscoperta come suo primo capitano, equipaggiata con una pesante armatura, una gigantesca spada ed un grande arco. E non c’era altro guerriero che compisse più atti di coraggio di lei. Popolarissima quindi presso le truppe, si dice fosse capace da sola di fronteggiare migliaia di nemici.
L'iconografia la vuole a cavallo, vestita di una massiccio
Yoroi (armatura giapponese) ed armata di tutto punto, spada, naginata ed arco. Così si era presentata sul campo della battaglia di Awazu (21 Febbraio 1184), decisa a sostenere il suo amato a tutti i costi in quella battaglia ormai persa, per dargli il tempo necessario a commettere seppuku.
Così
Tomoe Gozen si scagliò contro l'armata di Yoshitsune Minamoto, cugino-rivale del generale Minamoto Yoshinaka, riuscendo ad infliggere al nemico numerose ed importanti perdite.
Il generale
Minamoto Yoshinaka, tuttavia, non riuscì nel suo intento e venne ucciso da una freccia.
Sulla sorte di
Tomoe Gozen, la sua storia leggendaria propone invece numerose varianti, che non convergono ad un’unica versione: alcune si concludono con la sua morte in battaglia, altre raccontano come lei sia sopravvissuta, diventando poi una monaca buddista. Ma anche facendo un salto di secoli ed approdando "quasi" ai giorni nostri, alle soglie del 1900, si possono trovare ancora figure di donne-bushi che della propria temeraria fierezza hanno lasciato molto più che delle leggende. Fra queste spicca quella di Nakano Takeko il cui ricordo è tuttora vivo nel cuore dei suoi connazionali.
Di lei si hanno addirittura immagini fotografiche ed è anche ricordata da un monumento eretto in suo onore a
Bangemachi.
La storia di questa donna samurai ha origine nella città di
Aizu, in cui era nata e cresciuta. Valida praticante di arti marziali, che aveva appreso da famosi maestri dell’epoca, in particolare Nakano Takeko era un’esperta nell’uso della naginata, così come sua sorella Yuko e sua madre Kouko.
Conosciamo il periodo storico dell’impresa di
Nakano Takeko anche grazie al film "L’ultimo Samurai", ovvero il periodo della guerra " Boshin", una guerra civile giapponese combattuta tra il 1868 ed il 1869 tra i sostenitori dello Shogunato Tokugawa e i fautori della re-instaurazione dell'imperatore Meiji. Quest’ultima fazione era più piccola ma relativamente più modernizzata e fu presto in grado di far volgere l’andamento della guerra a proprio favore.
La fama di
Nakano Takeko è legata alla storia della battaglia in difesa del Castello di Wakamatsu (1868), combattuta al fianco dei samurai del clan Aizu. Il clan degli Aizu, fedele sostenitore dello shogunato Tokugawa, si trovò schiacciato da un enorme numero di soldati nemici: 3.000 samurai contro ben 20.000 guerrieri modernamente armati.
Venne così chiamato a combattere chiunque fosse in grado di tenere in mano un’arma. Fu in questo drammatico contesto che
Nakano Takeko si trovò a guidare il " Joushitai", la Truppa delle donne Aizu, un’unità di venti donne, determinata a tener testa alle truppe nemiche fino alla fine.
Durante il combattimento, ella si lanciò contro le linee nemiche, uccidendo con la sua naginata un elevato numero di guerrieri prima di essere colpita al torace da un colpo di fucile. Ferita, ma non ancora sconfitta,
Nakano Takeko chiese alla sorella Yuko di tagliarle la testa, per evitare di finire nelle mani del nemico.
Ogni anno, durante il Festival autunnale di
Aizu, un gruppo di giovani donne, con hakama e una fascia bianca in testa, segue la processione tradizionale per ricordare il sacrificio delle donne Joushitai.

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Bushido di Izawa Nagahide

alcune piccole riflessioni tratte dal Bushido, che ho trovato molto interessanti. Dato che non tutti hanno il tempo per approfondire la lettura del Bushido, forse piccole pillole le possono raccogliere quà.

 

Scritto di Izawa Nagahide….. Secondo un detto antico "Appena apri gli occhi,cadi in errore…" .Questo  si  riferisce  al fatto di attenersi a ciò che si vede. Per esempio, se guardi a destra trascuri la sinistra e viceversa. Se guardi le mani del tuo avversario, la tua mente si focalizza sulle mani , se osservi i piedi la tua mente si sposta sui piedi. Ogni volta che c'è uno squilibrio, è come trovarsi in una casa disabitata, Se entrano i ladri ,il proprietario non essendoci non li potrà  fermare. Per questo dovresti avere sempre una visione generale, non un punto di vista parziale. Una volta che ti sei impadronito delle Arti te ne dovresti distaccare. Altrimenti non sarai mai un artista marziale.

mi sembra un ottimo spunto sulla visione complessiva dell' arte marziale, nell ' uso di una tecnica, non focalizzare l'attenzione sul particolare ma osservare tutto ciò che si muove attorno a te.

ovo-san

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L’attimo

 

Facciamo un po' di riflessione filosofica, che ogni tanto non fa male.
Traduzione di uno scritto tratto dal libro "Lo Zen e le arti arziali".
Taisen Deshimaru, al secolo Deshimaru Yasuo 1914 – 1982, è stato uno dei monaci Zen più significativi del Giappone del XX secolo.
 
L'attimo.
Lo sport e le arti marziali sono diversi.
Nello sport, c'è tempo. Nelle arti marziali esiste solo l'attimo.
Ad esempio, nel baseball, il "battitore" attende la palla, c'è tempo: l'azione si svolge in quel momento.
Lo stesso accade nel tennis, nel rugby nel calcio, in tutti gli altri sport.
Il tempo passa e lascia la possibilità di pensare per un breve periodo di tempo durante l'attesa!
Nelle arti marziali non c'è tempo di attesa.
La vittoria o la non vittoria, la vita o la non vita, si decidono in un istante.
Bisogna vivere l'attimo: quello in cui la vita e la morte sono decise totalmente.
 
Taisen Deshimaru.
 
Meditate gente, meditate.
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la quarta dimensione

 

La Quarta Dimensione – Il Kototama e il Sangen

 

L'UOMO, L'AIKIDO E LA PAGODA

Uno degli edifici-simbolo maggiormente conosciuti dell'Oriente
e in particolare del Giappone è la Pagoda 

La struttura a pagoda più classica è basata su una costruzione
a 5 livelli (piani), ogni livello, per tradizione, è associato alla natura

 

Nell'architettura tradizionale la struttura della Pagoda contiene la filosofia orientale della stabilità cosmica finora già trattata anche per la filosofia del Kototama:
Terra (Unità-Solidità-Stabilità-Conpatezza) la base solida ancorata al suolo ma non rigida  
Acqua (Centralità-Movimento-Flessibilità-Fluidità) il legame fluido con la parte superiore che rende l'edificio flessibile ai terremoti
Aria Cielo Fuoco (Diramazione-Vibrazione-Penetrazione-Avvolgimento) rappresentava la parte abitativa e di vita dove lo spirito di chi abita trova l'armonia

 

In questo grafico vediamo lo sviluppo dell'architettura a Pagoda, applicati alla costruzione filosofica del Kototama, in rapporto all'uomo
U diviene la base solida unita con il centro della terra
SU come già visto è il centro del cosmo
U-SU e il centro del cerchio nell'Hara Tandem da dove si centralizzano le energie della terra con quelle del cosmo (Ten Chi) e genera la fluidità
ed vengono rappresentati dal triangolo che, mediante la concentrazione sui tre vertici l'energia si espande in tutte le direzioni
è sul vertice e prende la funzione di penetrazione proiettandosi in alto verso il centro del cosmo SU

L'Uomo e la Pagoda
L'Uomo e il Sangen

Il Sangen di O Sensei

Aikido e il Sangen 

 

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Piegare l’Hakama

E' tradizione, oltre che buona abitudine se si vuol far durare l'Hakama più a lungo, ripiegarla con cura al termine della pratica.

Da noi, non tutti sono avvezzi a questa cosa e per coloro che hanno da poco indossato questo indumento o che si stanno preparando ad indossarlo, di seguito trovate un video che spiega come fare. Come tutte le cose questo è uno dei vari modi per farlo, quindi provate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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la forgiatura di una Katàna

 

La forgiatura di una Katana tradizionale

Nel medioevo giapponese, gli antichi fabbri facevano precedere la forgiatura di ogni nuova lama da rituali di purificazione che servivano a radunare gli spiriti benigni e a rendere propizia la nascita della nuova katana.

La realizzazione di una Katana secondo i metodi tradizionali, può richiedere anche dei mesi. Si parte dalla costruzione di un particolare tipo di fornace detta "Tatara" simile ad un primitivo altoforno in argilla nella quale per 3 giorni e 3 notti viene introdotto e fatto bruciare carbone vegetale insieme a sabbia ferrosa. Questa complessa procedura fa sì che il ferro si combini al carbonio formando l'acciaio e altresì consente l'eliminazione di molte delle impurità presenti in origine.
Va premesso infatti che i giacimenti minerari e i depositi di sabbia ferrosa a disposizione degli antichi fabbri giapponesi fornivano un metallo di qualità molto scarsa se paragonato alle controparti occidentali. Ciò rese necessario elaborare tecniche particolarmente raffinate per eliminare le molteplici impurità presenti.

Il cuore dell'acciaio prodotto prende il nome di Tamahagane, il cui significato è "acciaio gioiello". Si tratta di un blocco di ferro e carbonio, poroso e contenente ancora molte impurità. Il restante materiale, un acciaio più povero di carbonio, viene comunque riutilizzato a sua volta come riserva di metallo, per le parti più morbide della lama o modificandone il tenore di carbonio tramite l'aggiunta di parti di Tamahagane.

Il Tamahagane, a sua volta, viene frammentato in piccoli cubetti che, dal colore, vengono poi suddivisi in base al loro contenuto di carbonio. I cubetti vengono poi scaldati e martellati fino a divenire dei sottili fogli in cui le caratteristiche, come il tenore di carbonio o la presenza di impurità siano facilmente riconoscibili.
I fogli migliori vengono selezionati per la costruzione del rivestimento esterno della lama, il Kawagane (acciaio-pelle) e l'Hagane (acciaio-lama), questi vengono sovrapposti, scaldati al calor bianco e fusi tra loro tramite percussione.

La procedura (riscaldamento e percussione) viene ripetuta più volta e serve in questo caso ad appiattire ed allungare il blocco di acciaio che tramite questa procedura perde anche tutta una serie di impurità.
A questo punto la barra è pronta per la lavorazione, essa viene scaldata ancora una volta e a metà della stessa viene praticata un'incisura che a sua volta viene utilizzata per ripiegare la barra di acciaio su se stessa. Una volta fatto ciò, il tutto viene riscaldato e ribattuto nuovamente per più volte fino ad ottenere una totale fusione dei due strati che vengono appiattiti fino a riassumere le dimensioni originarie. La procedura viene ripetuta per circa 6 volte, il risultato sarà una barra di acciaio costituita da migliaia di strati sovrapposti, infatti ogni volta che si ripiega l'acciaio si raddoppia il numero degli strati.

A questo punto la barra viene tagliata in 3 parti. Per la costruzione di una Katana ne servono 4 (quindi uno dei pezzi deve essere recuperato da un altro blocco). Le 4 sbarre di acciaio vengono sovrapposte, scaldate e fuse mediante percussione. Il tutto viene nuovamente ripiegato e saldato per almeno altre 6 volte. Ogni volta che si riscalda il materiale questo perde via via carbonio che si brucia a contatto dell'ossigeno, tutto questo fa si che, man mano che si avanza con la procedura, l'acciaio perderà carbonio, ma in maniera non uniforme, infatti il blocco risulterà costituito da migliaia di strati di acciaio in ognuno dei quali la quantità di carbonio varia sensibilmente.
Il risultato finale di tutta questa procedura è una sbarra di acciaio costituito da migliaia di strati sovrapposti nello spessore di pochi millimetri tant'è che si parla di spessori "molecolari" per ogni strato.

A seconda di come si ribatte e ripiega l'acciao (sempre in un'unica direzione o in direzioni differenti) si otterrà una trama diversa nella superficie dell'acciaio (hada).

A questo punto il fabbro inizia la costruzione dello Shingane (acciaio cuore), partendo da un acciaio a basso tenore di carbonio, questo viene sagomato e poi piegato e ribattuto una decina di volte allo scopo di ridurre ulteriormente il tenore di carbonio e allontanare le impurità. Infine viene il momento di riunire il tutto, il Kawagane viene piegato a U e al suo interno viene inserita la barra di Shingane.

Il tutto viene nuovamente scaldato e ribattuto fino ad ottenere una completa fusione tra i due strati. Questa fase è particolarmente critica, infatti la saldatura deve avvenire bene e la ribattitura non deve dislocare le due componenti (kawagane fuori e shingane dentro).
Il risultato di questa complicata procedura è una lama dotata di un rivestimento estremamente duro e molto adatto ad essere affilato e un'anima invece molto elastica e in grado di assorbire i colpi senza spezzarsi.

Quella appena descritta è la tecnica più semplice, ma spesso venivano utilizzati sistemi più complessi, in molti casi, per il tagliente vero e proprio, si utilizzava un acciaio ancora più rigido del Kawagane (acciaio-pelle): l'Hagane (acciaio-lama) particolarmente ricco di carbonio e quindi di estrema durezza, anch'esso ripiegato e ribattuto a dovere. Dietro ad un tagliente di Hagane poteva essere collocata la barra di Shingane (acciaio-cuore) e ai lati un rivestimento di Kawagane (acciaio-pelle), ma altre combinazioni erano possibili; Masamune si dice che usasse fino a 7 acciai diversi per la costruzione delle sue spade. La punta della spada invece (il kissaki) era costituita unicamente da acciaio duro (Hagane/Kawagane).

A questo punto la futura lama viene nuovamente scaldata al calore giallo e ribattuta in modo da essere sagomata, le viene data la forma definitiva, anche il codolo (nagago) e la punta (kissaki) vengono modellati.

Infine viene il momento più critico nella forgiatura di una lama, la tempratura mediante immersione della lama arroventata nell'acqua (o nell'olio in alcuni casi). La tempra in acqua è molto difficoltosa e mette a dura prova la lama, infatti il notevolissimo sbalzo termico altera fortemente la struttura molecolare dell'intera barra modificandone anche la forma (e la curvatura stessa della lama) ed evidenziando eventuali difetti costruttivi mediante crepe o fissurazioni.

Il carbonio conferisce durezza all'acciaio perchè le sue grandi molecole interferiscono con gli strati di ferro impedendo a questi di scorrere gli uni sugli altri. La procedura di tempra è un processo che amplifica questo effetto. Infatti quando si scalda l'acciaio la struttura cristallina del ferro si sfalda e gli atomi di ferro si mischiano a quelli di carbonio. Se l'acciaio viene raffreddato lentamente, gli atomi di ferro ricostituiscono la loro struttura cristallina spingendo ai margini gli atomi di carbonio, se invece il raffreddamento avviene velocemente, gli atomi di carbonio rimangono imprigionati nella struttura cristallina del ferro alterandola e rendendola irregolare, ciò fa sì che gli strati di ferro facciano molta più fatica a scorrere gli uni sugli altri e questo aumenta di molto la durezza dell'acciaio. Va da se che un ipotetico nuovo riscaldamento è in grado di distruggere la tempra (questo a volte capitava in seguito ad un incendio e rendeva necessario ritemprare la lama per ridarle funzionalità, in ogni caso il valore della lama si dimezzava visto che le caratteristiche originarie conferitele dal proprio creatore si perdevano inesorabilmente).

La spada, a questo punto, subisce una seconda tempratura preparatoria, la lama viene scaldata in maniera differente nelle varie parti (la lama e le facce laterali vengono scaldate di più rispetto al cuore e al dorso) e viene immersa in acqua.

Viene poi il momento di temprare il filo e di creare l'Hamon, la linea sinuosa che separa il filo dal corpo della katana e che indica le due zone a diversa tempratura. Per fare questo la lama viene ricoperta di argilla in maniera differente nelle varie parti (l'argilla è un isolante, per cui, dove c'è più argilla la zona risulterà meno temprata, viceversa dove ce n'è di meno).

L'Hamon, che inizialmente era di tipo rettilineo, nei secoli è diventato un ornamento della lama e ha acquisito forme particolarmente belle e di interesse artistico. Anche se le tipologie fondamentali di Hamon rimangono comunque quattro: Shugua (rettilineo), Gunome (con increspature verso il filo), Notare (ondulato) e Choji (la linea dell'hamon forma figure dette a teste di aglio). Tra l'Hamon e il resto della lama, nelle spade di maggior pregio, è presente anche l'Utsuri, l'ombra dell'Hamon e cioè una zona di colore diverso che sembra delimitare il bordo dell'Hamon stesso (vedi la figura qui sopra).

Hamon Shugua Hamon Gunome
Hamon Notare Hamon Choji

A questo punto la spada viene passata ad altri che si occuperanno della politura. Anche questo processo è estremamente lungo e può richiedere dei mesi, si parte con delle lime grossolane per finire con sottili fogli di carta passati con incredibile pazienza sul filo. Il risultato finale è una spada dal filo duro come il diamante e il corpo che mantiene comunque una grande elasticità, una Katana costruita mediante la tecnica tradizionale è in grado di tagliare un foglio di seta ondeggiante nell'aria così come di fendere un'armatura.

La superficie di una vera Katana, originale o replica che sia, non è mai lucidata a specchio, ma presenta invece una fine trama detta Hada (trama) o Jitetsu (tipo di trama), essa altro non è che il segno lasciato delle innumerevoli ripiegature. Oltre a questo, altri segni e ombreggiature possono essere presenti e vengono utilizzate dagli esperti per datare e attribuire ad una data scuola o ad un determinato forgiatore una lama.

Come è fatta una Katana

La Katana ha una lama che misura tipicamente dai 60 ai 75 cm di lunghezza, è dotata di una curvatura più o meno pronunciata (sori) volta a facilitarne l'uso di taglio, infatti una lama taglia bene quando riesce a scorrere sul bersaglio e la curvatura favorisce questo. Il sori è particolarmente pronunciato soprattutto negli esemplari più antichi dato che venivano usati principalmente da cavallo.

Esistono differenti tipi di curvature (Sori), una tipologia particolare e molto celebre è la Bizen-Sori (dalla omonima provincia e scuola), in essa la curvatura è maggiormente pronunciata in prossimità dell'impugnatura. Un secondo tipo di Sori è quello prevalentemente in uso nella provincia di Yamashiro, in esso la curvatura della lama era pressappoco invariata in ogni parte della stessa. Infine abbiamo la tipologia più recente di curvatura (Sori), meno pronunciata delle precedenti e in uso a partire dal periodo Shinto, in esso la curvatura maggiore viene realizzata nell'ultima parte della lama in modo da facilitare le tecniche di estrazione rapida. Infatti con il finire delle guerre, lo studio della scherma si trasferì dai campi militari alle palestre (Dojo) nelle quali venivano studiati a fondo i più minuscoli dettagli del duello tra i quali, appunto, le tecniche di Iai-Jitsu, che consistevano nell'estrarre la spada e nel colpire nello stesso momento, essa veniva anche definita "l'arte di concludere un combattimento prima che fosse iniziato".

La katana ha un baricentro che, nei negli esemplari meglio bilanciati, si colloca a 5-6 cm dal paramano (tsuba) per arrivare ai 10-13 cm degli esemplari più pesanti. Un bilanciamento avanzato fornisce più potenza nel taglio visto che permette di accumulare più energia cinetica in virtù della sua maggiore inerzia, per contro ciò rende la spada meno agile e più difficile da manovrare, per cui, in generale, un bilanciamento arretrato è da preferirsi.

Il peso di una Katana, comprensiva di elsa e paramano, normalmente si aggira intorno al Kg, ma ci sono variazioni anche notevoli tra i diversi esemplari che possono oscillare da 1.2Kg fino ai 700grammi di alcuni esemplari Shinto. Durante i periodi di guerra venivano costruite katane più pesanti rispetto ai periodi di pace, in ogni modo la Katana, come tutte le spade, è progettata con l'intento di pesare il meno possibile, infatti nel combattimento non è solo importante colpire l'avversario, ma anche e soprattutto farlo per primi.

E' un mito assolutamente da sfatare che le spade medievali (occidentali o orientali che siano) fossero pesanti e goffe. In realtà ciò è assolutamente FALSO, anche le grandi lame usate dai cavalieri occidentali nel medioevo (le mano e mezze) avevano un peso medio che oscillava da 1.1Kg a 1.7Kg. Nel 1500 alcuni corpi specializzati furono equipaggiati con il famoso Zweihander che pesava più di 2Kg, ma si trattava di spade particolari, usate soltanto da un ristretto gruppo di soldati ultracorazzati con l'unica funzione di tranciare le lance nemiche.

Costruire una spada robusta non è difficile, la cosa difficile è costruire una lama che sia robusta e leggera allo stesso tempo ed in questo i Giapponesi eccelsero, grazie alle raffinatissime tecniche metallurgiche che svilupparono e che rendono le Katane Nihonto delle armi straordinarie.

L'acciaio di una Katana forgiata secondo le metodiche tradizionali, se osservata da vicino, presenta un più o meno fitto intreccio di linee e punti che ne costituisce, nell'insieme, la trama (Hada). Essa è nient'altro che un effetto estetico collaterale delle innumerevoli ripiegature e ribattiture che subisce la lama durante la forgia ed è un indice della presenza degli strati di cui è composta. Esistono diversi tipi di trama (Hada) che prendono il nome di Jitetsu (tipo di trama) che gli esperti utilizzano per datare ed, eventualmente, attribuire ad una data scuola o ad un dato maestro forgiatore una specifica lama.

L'Hada, per sua natura, non è falsificabile e per questo viene utilizzata, insieme ad altri parametri, per stabilire l'autenticità di una Katana. Una cosa molto importante da tener presente è che, nonostante l'aspetto granulare che la trama (Hada) gli conferisce, l'acciaio di una Katana è sempre liscio. Ciò è di particolare importanza, infatti tutti i tentativi di simulare un'Hada autentica (ad esempio tramite l'incisione con acido), determinano la formazione di rilevature facili da riconoscere e che sono invece totalmente assenti nell'acciaio di una vera Katana.

 

 

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la forgiatura di una spada

 

 
Fabbricazione di una spada giapponese  
 
   


       

La spada giapponese viene forgiata per stratificazioni di acciaio con tenore di carbonio diversificato. Lo spadaio inizia il processo di forgiatura partendo da un nucleo di ferro (Tamahagane) con elevata percentuale di carbonio (più del 1%), risultato della fusione di minerale ferroso nelle fornaci di tipo Tatara. Queste fornaci, di origine continentale, risalgono almeno il VI secolo. In Giappone si è cominciato a ripristinarle, nella loro forma originaria, a partire dal 1970. Il minerale introdotto nel Tatara eè prevalentemente sabbia ferrosa (Satetsu).
La temperatura raggiunta nella fornace si aggira intorno ai 1200 – 1500° C, ottenuta bruciando carbone di quercia e di pino. Alla fine del processo di fusione, che dura alcuni giorni, il forno viene distrutto e sul fondo si raccoglie un blocco di acciaio chiamato Kera, con tenore di carbonio fino al 1,5%. Altre parti con minori percentuali di carbonio verranno utilizzate durante la forgiatura della spada per graduare il contenuto in carbonio degli strati diversificati che compongono la lama. I requisiti più importanti di una spada giapponese sono la resistenza a rottura e a flessione. Per raggiungere questo risultato, si porta a 1000° C una barra di acciaio dolce (Shingane) a basso contenuto di carbonio (0,2 – 0,3%), avvolta in un guscio di acciaio duro (Kawagane) a elevato contenuto di carbonio (0,6 – 0,7%). 
Il processo descritto, utilizzato per la forgiatura delle spade più comuni, si chiama Kobuse sanmai kitae. Si conosco almeno 50 tipi di forgiatura per stratificazione, che possiamo tuttavia ridurre a una decina di schemi fondamentali. Il panetto di acciaio, con cui saranno costituite le principali superfici esterne della spada, viene piegato e martellato ripetutamente (almeno 15 volte). Piegatura e martellatura consentono di eliminare tutte le impurità e i grani più grossi di carbonio, e di conferire alla lama le nuove percentuali di carbonio desiderate. 5 piegature producono 32 strati a basso tenore di carbonio: questo acciaio non può essere indurito per immersione in acqua e viene perciò utilizzato per il nucleo interno della spada. 10 piegature producono 1.024 strati, dando origine all'acciaio più duro, adatto ai piatti ed al dorso della lama. 15 piegature producono 32.000 strati. In una barra spessa circa 2,5 cm, ogni strato viene così ad avere spessore molecolare. 
Ulteriori piegature sono inutili e portano addirittura a una perdita del 90% del materiale iniziale. A seconda della damascatura che si crea (Jihada), la superficie dell'acciaio può essere chiamata:

 Itame (venatura del legno);

– Mokume (venatura con nodi);

– Masame (venatura dritta);

– Nashiji (polpa di pera);

– Ayasugi (venatura molto ondulata);

– Muji (senza venatura).

La formazione del blocco stratificato, da cui parte la creazione della spada vera e propria, si chiama Tsukurikomi, "strutturazione".
La lavorazione di tale blocco si articola nelle seguenti fasi:

1.0 – Sunobe (prima sagomatura): Lo spadaio allunga per martellatura continua il blocco, scaldandolo costantemente sulla forgia, fino a raggiungere le dimensioni desiderate della spada, maggiorate del 10% circa.

1.1 – Hizukuri (definizione della lama): Dopo aver scaldato la lama fino al calor giallo (1.100° C) lo spadaio ne definisce i profili per martellatura-dorso (Mune), punta (Kissaki), costolatura (Shinogi), filo (Ha saki) finché la temperatura non cade scendendo al calor rosso (700° C). A questo punto il Sunobe viene nuovamente riscaldato sulla forgia e riportato alla temperatura iniziale, procedendo quindi nella lavorazione su porzioni di circa 15 cm per volta. Una volta definiti profili fondamentali della lama, lo spadaio conferirà la forma finale al manufatto, utilizzando lime, pietre e pialle speciali.

1.2 – Tsuchioki (definizione del tagliente): Con un impasto d'argilla, polvere di carbone (vedi cementazione), polvere d'arenaria e acqua (Yakibatsuchi) si ricopre l'intera superficie della lama. Ogni scuola e ogni armaiolo possiedono proprie formule per questo impasto, nel quale l'arenaria (Omura) impedisce all'argilla di screpolarsi. Lo strato d'impasto viene quindi assottigliato lungo il tagliente, creando i caratteristici profili denominati Hamon. A seconda di come viene eseguita la raschiatura dello strato d'impasto (Tsuchidori), gli Hamon possono risultare dritti o irregolari. Il termine Suguba indica quelli dritti, che a loro volta possono essere Hiro Suguba (larghi), Hoso Suguba (stretti). Il termine Midareba contrassegna invece quelli irregolari tra i quali ricordiamo: Ko Midare (compatto), Chôji (garofano), Juka Chôji (Chôji multipli), Kawazuko Chôji (Chôji a forma di girino), Gunome (a zig zag), Kataochi Gunome (a zig zag obliquo), Sambonsugi (gruppi di cedri) Notare (onde), Toran (onde alte), Hitatsura (per tutta la lama), Sudareba (tendine di paglia) eccetera.

1.3 – Yakiire (indurimento del tagliente): Quando il materiale di copertura si è seccato, la lama viene portata al calor rosso (700° C circa) nella forgia finché non è pronta per l'immersione in acqua fredda. Questa operazione, chiamata yakiire richiede da parte dello spadaio la massima perizia e sensibilità, ottenibili solo con una lunga esperienza.

1.4 – Bôshi: Questo termine si riferisce alla porzione di Hamon presente nel Kissaki dopo lo Yokote (spigolo di separazione tra Kissaki e lama). Le dimensioni del Kissaki e il profilo del Bôschi sono tanto caratterizzati da consentire all'esperto di riconoscere l'armaiolo, la scuola e l'età della spada e dunque rappresentano un elemento importantissimo per lo studio del manufatto.

 

Il profilo del tagliente (Ha), nel Bôschi assume diversi nomi a seconda della forma, quali per esempio:

  • Ô Maru – (semicerchio grande)
  • Ko Maru – (semicerchio piccolo)
  • Midare Komi – (irregolare)
  • Yakitsume – (dritto verso il dorso)
  • Jizô – (testa di pietra)
  • Kaen – (fiamma)

1.5 – Nioi e Nie, Hataraki (attività): Durante lo Yakiire lo Hamon è prodotto in modo da mostrare le differenze di durezza dell'acciaio. I Nie e i Nioi sono particelle che compaiono lungo questa linea di separazione tra le due superfici della lama (chiamata Habuchi): quella a struttura martensitica (il tagliente) e quella a struttura perlitica (il resto della lama). I Nie sono relativamente grossi, visibili ad occhio nudo, mentre i Nioi sono così fini da non essere immediatamente percettibili; I Nie sono paragonati a stelle che brillano in cielo, i Nioi alla nebulosa della Via Lattea. Alcune formazioni martensitiche e perlitiche – definite genericamente Hataraki (attività) – rese volutamente più o meno evidenti nel tessuto della spada, prendono il nome da soggetti di cui richiamano in qualche modo la forma: Ashi (piede), Yo (foglie), Sunagashi (increspature di sabbia), Hakikake (sfioriture), Uchinoke (spruzzi), Kinsuji (lumeggiature d'oro). Il Kinsuji più comune è formato da Nie aggregati in linee sottili e brillanti lungo il tagliente. I Kinsuji molto lunghi, sottili e diagonali, sono denominati più propriamente Inazuma (lampi). Quando simili formazioni vengono evidenziate nel Ji (parte di lama compresa tra la Shinogi e lo Hamon), prendono il nome di Chikei. Piccole aree composte di Nie vengono chiamate Yubashiri (scroscio d'acqua bollente). Quando compaiono formazioni brillanti di Nie nel Ji (la cui struttura è perlitica), i Nie sono chiamati Ji nie. Quando la superficie della lama ha una predominanza di Nie, la spada è definita Nie Deki. Questa caratteristica riguarda soprattutto le spade realizzate nel primo periodo Kamakura, e più in generale quella della scuola Sagami (Sôshû). Il termine Niodeki, invece, si riferisce alle spade che presentano principalmente formazioni di Nioi. I manufatti della scuola Bizen, successivi al medio Kamakura, e quelli della scuola Bitchu Aoe, nel periodo Nanbokuchô, sono caratterizzati dalla predominanza di Nioi.

1.6 – Utsuri (riflesso): Definito impropriamente un secondo Hamon, si tratta di un effetto presente nel Ji che segue apprimativamente il profilo dello Hamon. Si ottiene portando a temperatura differenziata lo Ha (800° C) il Mune (720° C circa) e i piatti della lama – Shinogi Ji – (760° C) alla temperatura di 760° C, l'acciaio si trova in una fase di transizione tra quella perlitica e quella austenitica, provocando l'Utsuri. Gli spadai Bizen erano rinomati per questo effetto, che solo da pochi anni è stato riscoperto, ma non eguagliato.

1.7 – Yaki Modoshi: Tolta dall'acqua dopo lo Yakiire, la lama viene rimessa sulla forgia, scaldata fino a 160° C circa e immersa nuovamente nell'acqua. Questo trattamento diminuisce le tensioni nel tagliente indurito, decomponendo parzialmente i grandi cristalli martensitici (vedi rinvenimento). Il processo di tempra può essere ripetuto più volte.

1.8 – Sorinaoshi (assestamento della curvatura): Durante il Yakiire, il Mune si raffredda più lentamente dello Ha. Questo provoca una contrazione della lama di circa 1 cm, che ha l'effetto d'aumentare la curvatura della spada. Lo spadaio dovrà tenere conto, durante la sagomatura iniziale, di questo fenomeno. Per incrementare eventualmente la curvatura, si scalda il Mune sopra un blocco di rame arroventato in alcuni punti prestabiliti, dopodiché si raffredda in acqua.

1.9 – Yasurime (rifinitura del codolo): Dopo una prima rozza politura generale, intesa a esaminare la correttezza del lavoro eseguito su tutte le superfici, lo spadaio rifinisce il Nakago tracciandovi sopra dei segni di lima. Ogni scuola e ogni periodo hanno modi particolari di segnare il codolo. Kiri: detti anche Yoko, sono perpendicolari al codolo. Rappresentano il tipo più comune. Kattesagari: segni inclinati da sinistra verso destra. Sujikai: simili al Kattesagari, ma con inclinazione più accentuate. Quando le righe partono da destra in alto, si chiamano Sakasujikai. Ô Sujikai: caretterizzato da una fortissima inclinazione, è tipico delle scuole Aoe e Samonji, nel periodo Kotô. Takanoha: chiamato anche Shida, assomiglia a penne di falco. Saka Takanoha: come penne di falco invertite. Katasujikai: combinazione di Kiri e Sujikai riscontrabile principalmente nella tradizione Yamato. Higaki:simile ad una scacchiera, comune alle scuole Yamato, Mino, Naminohira a Satsuma e altre. Keshô yasuri:esclusivo delle opere Shintô. Sensuki:simile ad una superficie graffiata si trova sulle spade primitive dritte e sulle prime Kotô.

2.0 – Mei (firma): Come operazione finale a politura terminata, lo spadaio incide la propria firma col bulino sul Nakago, in posizione Omote. Sul lato opposto può venire incisa la data.

2.1 – Horimono (incisioni sulla lama): Incisione sulla lama venivano realizzate fin dal periodo Heian e avevano significato sia pratico ( alleggerimento della lama) sia religioso che decorativo. Anche questo elemento è rivelatorio del periodo di fabbricazione dell'armaiolo e della scuola. I tipi d'incisioni più comuni presenti sulle lame sono gli sgusci (Hi) che hanno la funzione di alleggerire le lame e che variano di nome secondo la forma. Oltre agli Hi nelle lame di epoca Kotô si trovano incisioni di carattere religioso quali: Bonji (caratteri sanscriti), Ken (spada diritta), Fudômyoo (immagine del Buddha incarnato), Kurikara (drago avvinto in una spada), Sanko Ken (spada con elsa a forma di Vajra indiana), Gomabashi (un paio di bacchette per riti religiosi), formule d'invocazioni. Nel periodo Shintô l'incisione acquista maggior valore decorativo e vengono introdotti motivi quali: Tsuru Kame (gru e tartaruga simboleggianti longevità), Yoge Ryû (draghi ascendenti e discendenti), Shô Chiku Bai (pino, bambù e Fior di susino), il monte Horai (la leggendaria montagna dell'eterna giovinezza).

   

 

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NINJA i guerrieri dell’ombra

 

Ninja (忍者?) è un termine giapponese che indica una spia del Giappone feudale (dal 1185 al 1868 circa). Il ninja è per definizione l’esperto nelle tecniche militari di strategia e intelligence che prendono il nome di ninjutsu e che hanno una lunga storia. Tuttavia, le fonti storiografiche ed enciclopediche giapponesi riferiscono che il termine ninja ha conosciuto una diffusione significativa solo dopo gli anni cinquanta, a partire cioè dalla popolarizzazione – principalmente attraverso manga e trasmissioni televisive – di personaggi conosciuti con questo nome nella letteratura e nel teatro di intrattenimento della tarda epoca Edo (1601 – 1868). Bisogna quindi distinguere il personaggio del ninja, ormai ben noto anche in occidente, dai guerrieri e militari anche molto famosi che negli scontri sanguinosi del medioevo giapponese utilizzarono metodi spionistici(avvalendosi talvolta dell’aiuto di esperti noti come ninjutsutsukairappashinobimetsuke e altri appellativi). Il mito del ninja merita nondimeno la giusta attenzione per il suo significato e il successo che ha riscosso e continua a riscuotere in Giappone e soprattutto all’estero.

Etimologia [modifica]

“Ninja” è la lettura “on” dei due kanji 忍者 utilizzati per scrivere shinobi-no-mono (忍ノ者?) un termine nativo giapponese utilizzato per descrivere una persona che praticava ilninjutsu. Tra i sinonimi di ninja vi sono i termini kanja (間者?), shinobi (?) e shinobi no mono (忍ノ者?). In epoca Tokugawa anche il termine Oniwaban (御庭番?) o “custode dei giardini” della dimora shogunale divenne sinonimo di spia. Secondo alcune fonti di tenore romanzesco le spie di sesso femminile avrebbero avuto l’appellativo di kunoichi (くノ一?), un gioco di parole che si riferisce al carattere grafico per “donna” (onna (?)) ed ha anche altre accezioni.

La figura storica dei ninja [modifica]

Le vesti del ninja

kanji di Ninja

I ninja portavano abiti neri per la notte e abiti di colore marrone-cachi per le ore del giorno: lo sappiamo grazie ad esemplari autentici conservati nel museo Ninja di Iga-Ueno. Erano esperti di arti marziali e la preparazione fisica meticolosa occupava gran parte della loro giornata. All’occorrenza, un Ninja poteva fungere da sicario e compiere un omicidio mirato, ma non stragi come ormai consueto pensare nell’immaginario collettivo. Essi, poi, non erano soltanto delle spie. Oltre allo spionaggio vero e proprio, costoro erano esperti di sabotaggio,tortura, ed appunto, l’eliminazione fisica degli avversari (omicidio mirato), azioni tipiche dei commando. Praticavano le arti marziali ad alti livelli. Erano, in breve, polivalenti. Non di rado, avevano compiti di polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico, oppure costituivano una specie di servizio segreto alle dipendenze del daimyo locale. Infine, spesso, erano pure investiti del compito di guardia del corpo dello shogun: una specie di guardia pretoriana nipponica.[1]. I Ninja operarono dal 1185 circa alla fine dello shogunato, nel 1868, quando ebbe termine il cosiddetto “Medioevo giapponese“. In realtà essi non smisero di esser addestrati, ma il loro utilizzo divenne maggiormente “mirato” e la loro preparazione venne rigorosamente e meticolosamente organizzata a livello centrale da parte dello Stato: diminuirono di numero, ma la qualità delle loro prestazioni aumentò notevolmente. Ad esempio, a differenza di quanto avveniva nei secoli precedenti, a partire dal 1890 essi erano obbligati ad imparare una o più lingue straniere. Figure di agenti infiltrati nelle linee nemiche con caratteristiche identiche a quelle dei Ninja sono state descritte dalle fonti dell’esercito zarista durante la Guerra russo-giapponese, e precisamente nelle battaglie del fiume Yalu, di Mukden e durante l’assedio di Port Arthur. Inoltre, siamo abituati allo stereotipo del guerriero Ninja armato di unasciabola, la Katana, tipica del samurai. In realtà, l’armamento dei Ninja era quanto mai variegato e scelto in base alla tipologia di missione che in quel particolare frangente era da compiere[2]. Pertanto, oltre alla katana, esisteva un arsenale composto da archi e dardi, giavellotti, pugnali, e via discorrendo. Nella fattispecie entravano nel loro corredo:

  • la Katana (sciabola)
  • la Ninjatô anche chiamata Shinobi-to (un particolare tipo di spada a profilo dritto e più corto rispetto alla tradizionale katana);
  • il  (un bastone molto lungo);
  • la Wakizashi (spada corta, ad un solo filo);
  • il Kunaï (un coltello in metallo atto a scavare piccoli buchi nel terreno, all’occorrenza utilizzabile anche come dardo da lancio)
  • le Shuriken o shaken (letteralmente lame volanti sia di forma circolare sia oblunghe. Sono note come “Le stelle dei Ninja”)
  • le Bo-Shuriken (chiodi lunghi 20 – 30 centimetri da posizionare negli spazi interdigitali per poter esser lanciati);
  • la Kaginawa (ancorette unite ad una corda, sia da lancio, che per arrampicarsi);
  • la Kamayari (una picca con arpione);
  • la Kusarigama (falcetto con una catena attaccata all’incrocio tra lama e manico. la catena aveva anche un peso all’altra estremità);
  • Manrikigusari (coppia di piccoli pesi posti all’estremità di una catena)
  • Mizugumo (dei galleggianti per attraversare pozze d’acqua);
  • il Tanto (tipico coltello da uso quotidiano giapponese)
  • le Ashiko (calzature chiodate);
  • il Tekagi e la sua variante, il Shuko (bracciali puntuti e pugni di ferro anch’essi puntuti);
  • il  (una spranga di legno);
  • la Fukumibari (una cerbottana);
  • le Makibishi (chiodi a quattro punte da disseminare sulle strade) e le loro varianti, le Tetsubishi (dardi a quattro punte per egual fine);
  • la Naginata (una alabarda);
  • il Kyoketsu Shogei (un corto pugnale con paramano curvo che dà la forma di un arpione, dotato di una lunga corda con al termine un anello metallico);

Entrarono, in tempi recenti (a partire dal 1700) anche armi da fuoco (piccoli obici quali gli Ōzutsu) e granate Metsubushi (目潰し, “Chiudi occhi”, ovvero piccole bombe dirompenti a carica metallica). In pratica, i Ninja non ebbero in alcuna epoca quell’alone di guerrieri dalle caratteristiche “soprannaturali” che il cinema ci ha da sempre mostrato. Semplicemente, essi erano una casta di guerrieri che operavano in genere singolarmente ed il cui teatro d’azione era talmente vasto che poteva andare dalla semplice raccolta di informazioni, all’omicidio su commissione.

 

  • Shikomizue.

 

 

  • Manriki.

 

 

  • Makibishi.

 

 

  • Kaginawa.

 

 

  • Shuriken.

 

 

  • Kusarigama.

 

 

  • Manriki.

 

 

  • Shuriken.

 

 

  • Kusari katabira.

 

 

  • Chigriki.

 

 

  • Ashiko.

 

Collocazione storica dei guerrieri ninja [modifica]

Un uomo vestito da ninja durante una parata ad Aizu nel 2006

I Ninja comparvero circa nel 1185 con il compito di polizia, quindi per mantenere l’ordine nei vari feudi. Il loro periodo aureo si colloca tra il1300 ed il 1870. Per il ninja non esistevano differenze di casta: gli uomini si dividevano in adepti del proprio clan, cui era dovuta fedeltà assoluta, e gli altri nei confronti dei quali tutto era lecito. Nel 1467 venne ufficializzato il loro servizio presso gli shogun locali[3]: nel Giappone sconvolto da un lungo periodo di guerre furono sempre più i nobili che si rivolgevano ai clan Ninja per essere aiutati nelle battaglie o per far compiere silenziose vendette. Spesso l’impiego dei ninja faceva pendere l’ago della bilancia dalla parte di uno dei contendenti. Grazie a ciò il potere politico dei clan ninja si sviluppò enormemente sino al punto che, attorno al 1467, fu lo stesso ShogunYoshihisa Ashikaga (1436 – 1489) a richiedere il loro aiuto nella guerra di Onin. In questo modo intere provincie del Giappone finirono sotto l’influenza ninja. A volte i ninja decretavano l’ascesa o la cacciata degli shogun[4]. Il potere dei ninja diveniva sempre più vasto, tanto che lo shogun Oda Nobunaga (1534 – 1582) si appoggiò apertamente agli europei per poter estromettere i ninja dalle posizioni di potere oramai consolidate durante il suo tentativo di unificare il Giappone. Egli, da un lato, protesse il nascente cristianesimo e lo incoraggiò a diffondersi. Dall’altro combatteva i ninja senza un attimo di tregua, tanto da scendere in guerra aperta nel 1579, incaricando il figlio Katsuyori di assaltare, conquistare e distruggere la roccaforte Ninja di Iga. Nella battaglia di Teusho Iga no Ran (1580) le truppe di Katsuyori subirono una disastrosa disfatta per opera dei Ninja che dimostrarono in questa come in altre occasioni di essere eccellenti combattenti anche in campo aperto. Non maggior successo ebbe la spedizione militare del 1581. Il successore di Nobunaga, invece, appoggiandosi ai ninja, quasi sradicò dall’arcipelago il cristianesimo: con l’avvento allo shogunato di Ieyasu Tokugawa (1543 – 1616) nel 1582, favorito da un uso spregiudicato dei ninja medesimi, i ninja si trasformarono in spie, poliziotti e repressori. I ninja erano all’apogeo della loro potenza e lo sarebbero stati fino al 1853. Nel 1853, quando le “navi nere” del commodoro Perry violarono l’isolamento in cui era rinchiuso il Giappone, una spia ninja Jinsaburo Yasusuke Sawamura fu incaricato di salire di nascosto a bordo di una di esse per sottrarre documenti che facessero intuire le intenzioni degli stranieri. Egli ritornò dalla missione con dei manoscritti che sono ancora oggi conservati dalla famiglia Sawamura nella città di Iga-venoprefettura di Mie. I manoscritti però non contenevano segreti, bensì erano una lettera di un marinaio olandese alla sua fidanzata ed una canzone che decanta le doti delle donne francesi a letto e delle inglesi in cucina[5]. I ninja furono adoperati nella guerra cino-giapponese del 1894, nella guerra russo-giapponese del 1904 e nelle due guerre mondiali. L’occupazione militare del Giappone da parte degli americani (1945 –1949) costrinse tutte le arti marziali ed il ninjutsu in particolare a tornare alla più totale segretezza, in quanto ritenuti veicoli di propagazione di sentimenti xenofobi.

I Ninja ed il Cristianesimo nipponico [modifica]

Il ninja Jiraiya, protagonista del racconto tradizionale Jiraiya Goketsu Monogatari

Il rapporto tra il ninjutsu ed il cristianesimo fu sempre caratterizzato da antagonismo e da repressione ad opera dei ninja stessi. Ilcristianesimo giapponese, che coincide quasi interamente col cattolicesimo romano, sbarcò in Giappone nel 1549 con San Francesco Saverio (1506 – 1552), braccio destro di Sant’Ignazio di Loyola (1491 – 1556). Ma la rivolta dei contadini di Nagasaki (1637), molti dei quali convertiti al cristianesimo, diede allo shogun il pretesto di reprimere e di mettere al bando la religione cristiana, irrogando nel contempo numerose pene capitali.

I Ninja pare abbiano avuto un ruolo di primo piano in quest’opera di repressione[3]. Nel 1640 il cristianesimo giapponese era ufficialmente estinto. Gli editti dello shogunato di Tokugawa (1600 – 1868)del 1633 e del 1639 chiusero il paese in se stesso impedendo ogni contatto con gli stranieri, ad eccezione di un porto franco aperto ai commerci con poche nazioni: iniziava l’isolazionismo (in nipponico: Sakoku). L’isolamento durò ben due secoli. L’8 luglio del 1853 l’ammiraglio statunitense Matthew Perry (1794 – 1858) gettò le ancore nella baia diUraga, vicino alla città di Edo (la moderna Tokyo), al comando di quattro navi da guerra della marina statunitense, chiedendo formalmente l’apertura dei porti del Giappone, la stesura di accordi per i soccorsi in caso di naufragio e la stipula di trattati commerciali.

Il 14 luglio la richiesta venne ufficialmente presentata allo shogun in persona nella città di Kurihama (la moderna Yokosuka), minacciando l’intervento armato in caso di non accoglimento delle sue richieste. Missioni analoghe non avevano ricevuto alcuna risposta precedentemente: vascelli statunitensi tra il 1793 ed il 1809 poterono operare solo sotto bandiera olandese (i giapponesi consentivano solo agli olandesi ed ai cinesi di commerciare nel porto franco di Nagasaki); venne invece respinta nel 1804 la spedizione guidata dal primo ambasciatore russo in Giappone, Nikolai Petrovic Rezanov (1764 – 1807); nel 1846 e nel 1848 nuovamente accadde con le spedizioni al comando dell’ammiraglio statunitense James Bidle (1783 – 1848) e James Glynn (1800 – 1871) rispettivamente. Solo nel1853, sotto la minaccia delle cannoniere americane del commodoro Perry, il Giappone consentì a riaprirsi ai traffici occidentali e all’invio di missionari.

Nel 1854 Perry tornò in Giappone e firmò la Convenzione di Kanagawa che ufficializzò la fine dell’isolazionismo nipponico. Molti di questi missionari, giunti in seguito all’intervento di Perry, rimasero stupiti di trovare ancora cristiani. Questo fatto pose termine all’isolamento nipponico ed indebolì notevolmente il potere della classe dei samurai, tanto che nel 1868 il potere centrale facente capo all’imperatore prese definitivamente il sopravvento sui feudatari ed avviò la modernizzazione del paese sullo stampo occidentale.

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