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L’ultimo Samurai Saigo Takemori

L’ultimo Samurai Saigo Takemori

Saigo Takamori: l’ultimo Samurai

Posted by bunny chan

Questa statua, posta nel parco di Ueno, è dedicata a Saigo Takamori, l’ultimo samurai.

Saigo Takamori

Ebbene sì, è proprio la sua storia che ispirò il film con Tom Cruise di qualche anno fa, ma dimenticate le fattezze del bel Ken Watanabe, che ne impersonava il ruolo col nome di Katsumoto: Saigo Takamori era un samurai cicciotto e dall’apparenza bonaria, un omone di 180 cm di statura ed una corporatura opulenta, piuttosto impressionante per i suoi tempi. Egli si battè affinché i samurai potessero conservare i propri privilegi nella moderna società giapponese e tutt’oggi viene ricordato come un eroe!

Ecco la sua storia:

Nel gennaio del 1868, Saigo Takamori ebbe l’onore di guidare una delle armate che parteciparono alla cosiddetta “marcia su Kyoto”.
Le truppe occuparono il castello e proclamarono la restaurazione del potere imperiale.

Fautori di questa operazione, furono alcune famiglie del sud, che, con questo gesto, volevano opporsi alla supremazia della famiglia Tokugawa, che per anni avevano detenuto il potere, avvalendosi della figura di un imperatore-fantoccio, che era praticamente un burattino nelle loro mani.

Nel 1868 il giovane imperatore Mutsuhito, di soli 15 anni, venne fatto spostare da Kyoto a Tokyo, vero centro nevralgico del potere. Ciò segnerà la fine della supremazia dei Tokugawa e l’inizio dell’era Meiji, dal nome imposto al nuovo imperatore.

Il 15 maggio 1868, l’ultimo rigurgito di una ribellione delle famiglie fedeli al vecchio shogunato, fu repressa nel sangue: la battaglia fu combattuta a Ueno, ed è proprio in ricordo di questo combattimento, che oggi, all’ingresso del parco, si erige la statua di Saigo Takamori, comandante in capo delle truppe fedeli all’Imperatore.

In realtà, però, l’Imperatore era nuovamente un fantoccio nelle mani di nuovi burattinai: i samurai che avevano organizzato la marcia su Kyoto. Essi però, capirono che la struttura feudale del Giappone era ormai obsoleta, e che serviva un’autentica svolta, se si voleva portare il Paese ad un riconoscimento internazionale.
Il periodo Meiji, infatti, sarà ricordato come un periodo di grandi riforme, che catapulterà il Giappone dal feudalesimo all’era moderna, in cui il Giappone diverrà un potente stato asiatico, seguendo il modello occidentale.

Tali riforme portarono, nel 1871, all’abolizione della classe dei samurai ed all’espropriazione di tutti i possedimenti dei daimyo, i signori locali.

Uno dei principali fautori di questi cambiamenti sarà Okubo Toshimichi (l’Omura de “L’ultimo samurai”).

Nel gennaio del 1872 il governo giapponese annunciò l’intenzione di creare una forza armata nazionale, sulla base di quelle esistenti nei Paesi occidentali.

A questo punto i samurai, spogliati dei propri privilegi e dei propri redditi, si videro costretti ad integrarsi nelle maglie del nuovo governo, ma non tutti vollero accettare il cambiamento, così, nel 1874 scoppiarono alcune ribellioni.
Il governo non volle tollerare questi attacchi al nuovo potere, e inviò le nuove armate a sedare le rivolte.

Nel 1876 fu proibito girare armati, se non durante eventi speciali e cerimonie. I samurai, che consideravano le loro spade un simbolo del loro status si risentirono molto della cosa. Fu inoltre proibito di acconciare i capelli con la tipica pettinatura da samurai: il mage.

Nello stesso anno Saigo Takamori, ormai in aperto conflitto con le decisioni prese dal nuovo governo, si demise dal suo incarico, e tornò a Kagoshima, dove fondò una scuola militare in cui affluirono tutti i samurai scontenti della situazione che si era venuta a creare.
Ben presto la situazione divenne insostenibile e il gruppo di Takamori proclamò guerra al governo centrale.

La storia vuole che Takamori fu coinvolto suo malgrado, e proclamato capo delle truppe di ribelli senza essere propriamente convinto di ciò che si stava facendo e preso di sorpresa dalla rapida escalation degli avvenimenti.
Ad ogni modo Saigo organizzò la ribellione militare e mise insieme un’armata di circa 25.000 uomini, cui si aggiunsero strada facendo altri volontari da tutto il paese.

Saigo aveva intenzione di marciare su Tokyo con la sua armata, ma si attardò nel castello di Kumamoto, e le truppe imperiali ebbero il tempo di organizzarsi e sferrare un contrattacco, prendendo d’assalto il castello stesso.
L’assedio finì dopo 54 giorni e le truppe di Saigo furono sconfitte e costrette ad arretrare verso Kagoshima.

Dopo numerose battaglie, Saigo Takamori raccolse un numero ridotto di samurai (circa 300) per l’ultimo confronto sulla collina di Shiroyama, non lontana dal Castello di Kagoshima.

I ribelli erano ormai pochi, esausti ed a corto di cibo e munizioni. Inoltre pioveva da giorni ed i loro vecchi cannoni erano ormai inutilizzabili.
Saigo e i suoi uomini sapevano che non avevano alcuna possibilità e che la loro causa era ormai persa, ma desideravano morire con onore (“Una morte onorabile è preferibile ad una vita di vergogna”).
Si dice che il comandante delle forze imperiali inviò a Saigo una lettera, pregandolo di arrendersi e scongiurare una battaglia che non avevano nessuna speranza di vincere.

La mattina del 24 settembre del 1877, ebbe inizio il bombardamento e fu un massacro annunciato.

Il corpo di Saigo Takamori fu trovato senza vita e con la testa mozzata, segno che egli aveva commesso seppuku.

Il suo coraggio, comunque, lo portò a non essere dimenticato nei secoli, ed ancora oggi Saigo Takamori viene ricordato come un eroe, grazie anche alla riabilitazione postuma (1889) accordatagli dal governo Meiji, con una intelligente mossa strategica.

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osvaldo

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