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Category Archive Quaderno Tecnico

Jo Suburi eseguiti da Saito

 

JO SUBURI NIJUPPON – i 20 movimenti con il bastone

 
JO SUBURI NIJUPPON
Morihiro Saito Shihan dimostra i 20 suburi

Jo=bastone, suburi=movimenti/esercizi, nijuppon=venti fondamentali (è formato da juni=20 e Hon=fondamentale (la H diventa P quando segue una parola)

I suburi di Jo sono 20 e sono divisi in 5 gruppi:

TSUKI GOHON (i cinque colpi fondamentali)
1. CHAKU TSUKI (colpo diretto)
2. KAESHI TSUKI (colpo di risposta)
3. USHIRO TSUKI (colpo indietro)
4. TSUKI GEDAN GAESHI (colpo con risposta bassa)
5. TSUKI JODAN GAESHI UCHI (colpo con risposta alta in fendente)

UCHI KOMI GOHON (i cinque fendenti fondamentali)
6. SHOMEN UCHIKOMI (fendente dal centro testa)
7. RENZOKU UCHIKOMI (fendente in successione)
8. MEN UCHI GEDAN GAESHI (fendente alla testa con risposta bassa)
9. MEN UCHI USHIRO TSUKI (fendente alla testa con colpo indietro)
10. GYAKU YOKOMEN UCHI USHIRO TSUKI (fendente rovescio con colpo indietro)
 
 
KATATE SANBON (i tre colpi di mano)
11. KATATE GEDAN GAESHI (risposta dal basso con la mano)
12. KATATE TOMA UCHI (fendente lontano con una mano)
13. KATATE HACHI NO JI GAESHI (Risposta a otto incrociato con la mano)
 
 
HASSO GAESHI GOHON (le cinque risposte in posizione defilata)
14. HASSO GAESHI UCHI (risposta con fendente da posizione defilata)
15. HASSO GAESHI TSUKI (risposta con colpo da posizione defilata)
16. HASSO GAESHI USHIRO TSUKI (risposta con colpo indietro da posizione defilata)
17. HASSO GAESHI USHIRO UCHI (risposta con fendente indietro da posizione defilata)
18. HASSO GAESHI USHIRO BARAI (risposta con spazzata da posizione defilata)
 
 
NAGARE GAESHI NIHON (i due rovesti correnti)
19. HIDARI NAGARE GAESHI UCHI (rovescio corrente sinistro con fendente)
20. MIGI NAGARE GAESHI TSUKI (rovescio corrente destro con colpo diretto)

 

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REI, il saluto e i suoi significati

 

REI – Il saluto e le quattro Gratitudini

 
Rei (il saluto)
Il primo aspetto della filosofia dell'Aikido, la gratitudine e rispetto, si applica attraverso il "Reigi" (il giusto atteggiamento).

La pratica dell'Aikido inizia e termina con il saluto (Rei). Nel Dojo di Iwama, quando O Sensei era vivo e, dopo la sua morte, sotto la custodia di Saito Sensei, il saluto veniva praticato con il rituale Shintoista. O Sensei esaltava il principio delle quattro gratitudini, queste si possono riconoscere nel rituale del saluto che, anche oggi, nei Dojo di Takemusu Aikido si pratica. 
 

Il primo inchino è rivolto all'universo e all'intero creato, il mondo divino (prima gratitudine), Il secondo inchino è alla natura, mondo animale e vegetale, il mondo in cui viviamo (seconda gratitudine). La doppia battuta di mani e il terzo inchino è rivolto all'attenzione degli antenati, il mondo dell'aldilà (terza gratitudine). Il quarto inchinino, tra maestro e allievi, è rivolto ai propri simili, il mondo dell'umanità (quarta gratitudine)

 
Per capire quale rapporto filosofico-spirituale dobbiamo considerare con questo tipo di cerimoniale, che tradizionalmente non appartiene alla nostra cultura, ho steso un parallelismo tra la parte spirituale predicata da O Sensei e quella che può essere applicata nel nostro Dojo.
 
1 – Gratitudine verso l'universo
E' la gratitudine per il dono della vita. E di riflesso è la gratitudine rivolta  all'intero cosmo.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente dell'Aikido e del Budo nella sua espressione più costruttiva. 
 
 
2 – Gratitudine verso il nostro mondo e la natura
 
Gratitudine verso il nostro mondo e la natura. Verso il mondo animale vegetale e minerale.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente di pratica, che comprende persone (praticanti) e luogo (Dojo).
 
3 – Gratitudine verso gli antenati e predecessori
La gratitudine verso i nostri predecessori che, attraverso battaglie, guerre, lotte sociali hanno contribuito al miglioramento dell'umanità.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso O Sensei, che ci ha donato l'Aikido.
 
 
4 – Gratitudine verso i nostri simili
Non possiamo vivere senza il sostegno degli altri.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso i compagni di pratica. La gratitudine verso coloro che si uniscono nella pratica collettiva e che collaborano per il miglioramento collettivo.

Questi principi trascendono la tradizione dei popoli, con questo spirito possiamo entrare nella logica del rituale del saluto dell'Aikido.

 

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I principi del ki

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a proposito di cinture colorate lo sapevate che…

tratto da wikipedia

Leggende e miti sono da sempre fioriti intorno alla pratica di arti marziali come il Judo e il Karate. Altrettanto accade con le origini quasi mistiche associate con la tanto desiderata cintura nera. Molti sarebbero stupiti da quanto recente invece sia la storia delle cinture.

 

Molte sono le storie sulle origini della cintura nera. La più diffusa è quella del novizio di arti marziali che comincia con una cintura bianca. Con l’andare del tempo, praticando negli anni la cintura si sporcava diventando prima marrone e alla fine nera quando ormai l’arte era perfezionata. Fermo restando la forte metafora insita in questo folclore, non c’è nessuna base nella realtà. Le cinture colorate non hanno mai fatto parte della tradizione di nessuna arte marziale antica.

Nella realtà, la cintura nera fu inizialmente introdotta per designare l’abilità nel Kodokan Judo poco più di cent’anni fa. Jigoro Kano (a lato), fondatore del Judo è stato il primo ad usare la cintura nera per distinguere gli allievi dan nel Kodokan, fondato a Tokyo nel 1882 (1). Prima di allora, le scuole di Jujutsu, come molte altre arti marziali giapponesi di quel periodo, utilizzavano il complicato sistema Menkyo per designare particolari livelli di abilità tecnica.

Per capire il sistema educativo giapponese è necessaria una piccola prospettiva storica. L’addestramento sistematico alle armi e alla guerra si è prima sviluppato nelle scuole di tradizione marziale, o stili (ryu ha), tra l’undicesimo e il quindicesimo secolo. I Samurai si riunivano in clan per allenarsi all’uso delle armi e delle tecniche. Man mano che i loro addestramenti diventavano sempre più specialistici ed individuali, nel periodo Tokugawa (1600-1868) cominciarono a formarsi degli stili marziali o scuole (Bujutsu ryu) (2).

Le arti marziali antiche giapponesi vennero alla fine classificate in diciotto diverse branche dette Bugei Ju-Happan. Esse consistevano in: tiro con l’arco (kyujutsu), artiglieria (hojutsu), pugnale (tantojutsu), alabarda (naginatajutsu), gancio (mojirijutsu), cavalleria (bajutsu), lancia (sojutsu), lancio del coltello (shurikenjutsu), stiletto (ganshinjutsu), contenimento (toritejutsu), catena e falcetto (kusarigamajutsu), bastone (bojutsu), furtività (shinobijutsu), nuoto (suijutsu), spada (kenjutsu), estrazione della spada (battojutsu), mazza (juttejutsu) e autodifesa a mano nuda (jujutsu) (3). Queste scuole usavano il sistema Menkyo per graduare i propri studenti.

Generalmente gli studenti di queste antiche ryu ha giapponesi prendevano prima il grado di Shoden. Poi proseguivano con Chuden, Okuden/Mokuroku, Menkyo e alla fine Menkyo Kaiden, che significava letteralmente “licenza di trasmissione totale” (4). Comunque ogni ryu ha individuale sviluppava il suo sistema di gradi, tanto che alcuni erano completamente differenti. (5)

I gradi erano di solito designati con certificati appositamente creati o lettere scritte a mano dall'insegnate o dal fondatore. Spesso i gradi più alti erano accompagnati dalla presentazione di un densho, manoscritto con istruzioni o segreti dei fondatori delle varie scuole (6). Alcuni densho fornivano istruzioni dettagliate anche grafiche di alcune tecniche particolari. Di per sé questi ultimi documenti non avevano alcun significato per chi non avesse avuto familiarità con il linguaggio del particolare ryu ha.

Data la segretezza che caratterizzava i vari ryu ha e i loro istruttori, il sistema Menkyo aveva alcuni svantaggi. Non c'era modo di comparare gli studenti delle varie scuole (7) e poi in ognuna i passaggi di grado si effettuavano ad intervalli di tempo che potevano andare dai pochi mesi a diversi anni, a seconda della filosofia del maestro e del tipo di allievo.

Il dott. Kano apprese da giovane le basi del Jujutsu da Teinosuke Yagi, poi studio la Tenshin Shinyo Ryu sotto Hachinosuke Fukuda e Masatomo Iso, così come il Jujutsu Kito Ryu sotto Tsunetoshi Iikubo. Fu iniziato ai segreti di entrambe le scuole.

Dopo aver fondato la sua scuola, il Kodokan, nel 1882, il dott. Kano affrontò anche studi accademici di molti altri stili di Jujutsu. Oltre a far visita e a praticare con gli altri maestri, esaminava attentamente i densho delle altre ryu ha di Jujutsu (8). Poco dopo aver fondato il suo stile di Jujutsu, il dott. Kano revisionò anche il sistema di graduazione, creando dieci gradi con intervalli relativamente brevi per mantenere alto il livello di interesse degli allievi durante la progressione attraverso i livelli tecnici.

Secondo Naoki Murata, il curatore del museo del Kodokan, "nel 1883 Kano divise gli studenti in due gruppi, quelli senza grado (mudansha) e quelli con grado (yudansha). I primi yudansha (shodan) del Kodokan furono due famosi studenti quali Tsunejiro Tomita e Shiro Saigo, promossi anche a secondo dan un anno dopo."

Shiro Saigo, immortalato nel romanzo Sugata Sanshiro di Tsuneo Tomita (9), poi riadattato da Akira Kurosawa nel 1940 in un film sull’infame torneo tra Judo e Jujutsu, saltò il terzo dan e fu promosso direttamente quarto dan nell'anno successivo, nel 1885, secondo Murata. A quel tempo tutti i gradi dan erano annunciati direttamente dal dott. Kano apponendo una nota nella bacheca del Kodokan (10).

Le cinture nere per distinguere gli yudansha non erano utilizzate nel Kodokan fino al 1886-87, sempre secondo Murata, più o meno al tempo del torneo della Polizia Municipale di Tokyo tra la scuola Jujutsu di Hikosuke Totsuka ed il Kodokan del dott. Kano (11). Dopo la vittoria del Kodokan, questi non rilasciò più diplomi e certificati fino al 1894, quasi undici anni dalla creazione del sistema di gradi del Judo (12).

Alla fine l'abilità o il grado dei Judoka cominciò ad essere denotata da cinture dal diverso colore legate attorno alla vita sul judogi. Generalmente in Giappone i mudansha portano cinture bianche attraverso la progressione nei gradi kyu. Alcune scuole utilizzano la cintura marrone per i gradi kyu più alti. Le cinture colorate giallo, arancio, verde e blu ebbero origini in Europa e furono importate negli USA negli anni 50.

Le cinture nere erano tradizionalmente portate da chi faceva competizioni, dal primo dan (shodan) al quinto dan (godan). Una cintura rossa e bianca era portata da chi aveva ricevuto gradi per aver reso un servizio al Judo, dal sesto dan (rokudan), fino all'ottavo (hachidan); le cinture completamente rosse erano riservate a noni (kudan) e decimi dan (judan) (13).

Il Karate adottò il sistema di gradi del Judo e l’uso della cintura nera dopo che il maestro Gichin Funakoshi di Okinawa dimostrò ed insegnò le sue tecniche presso il Kodokan negli anni 20 (14). Alla fine il sistema dan fu incorporato dal Kendo, dall’Aikido, e da molte altre forme di arti marziali.

L'origine delle cinture colorate, così come il significato dei particolari colori, è ancora avvolto nel mistero e potrebbe essersi ormai perso nella storia. Sebbene il dott. Kano non abbia lasciato niente di scritto sui vari colori utilizzati, ci ha lasciato comunque qualche traccia. Secondo la sua dottrina filosofica non c'è limite ai progressi che si possono fare nel Judo, quindi se qualcuno avesse raggiunto un livello più alto del decimo dan, "avrebbe trasceso dai colori e dai gradi e sarebbe tornato alla cintura bianca”, una sorta di chiusura del ciclo del Judo, come della vita (15).

In una simile eventualità, va detto che il Kodokan decise che la cintura che tale persona avrebbe indossato sarebbe stata "di spessore circa doppio del normale" per evitare che dei principianti potessero fraintenderne il significato. Ad oggi il dott. Kano è l'unica persona ad aver raggiunto il dodicesimo dan e ad avere il titolo di shihan.

Il dott. David Matusmoto, autore del libro "An introduction to Kodokan history and philosophy", cita la combinazione di due possibilità circa il tradizionale uso delle cinture bianche: il significato simbolico del colore e gli aspetti pratici della produzione delle uniformi (16).

"Innanzi tutto, il bianco ha sempre avuto un significato speciale, simbolico, nella cultura giapponese per secoli" scrive Matsumoto. "Per i giapponesi il colore bianco riflette pulizia e sacralità fin dai tempi antichi".

Quindi le cinture bianche potrebbero essere appropriate per riflettere l'innocenza e la purezza dei principianti. Secondo Matsumoto può anche riflettere la selezione di cotone usato per il materiale dei judoji: dopo lungo uso e numerosi lavaggi, il naturale biancastro giallognolo del cotone tende al bianco.

Un'ipotesi non verificata circa le cinture nere portate dai gradi dan è che il dott. Kano abbia preso in prestito questo concetto dagli sport praticati in Giappone nelle scuole superiori. Gli atleti avanzati erano riconoscibili dai nuotatori principianti tramite un nastro nero che i primi portavano intorno alla vita. Come rinomato insegnante e sportivo, certamente il dott. Kano era a conoscenza di questa tradizione e potrebbe averla incorporata nelle sue pratiche al Kodokan.

La selezione di cinture rosso-bianche per distinguere i gradi più alti potrebbe anche essere legata ad una tradizione simile, secondo Meik Skoss, noto storico delle arti marziali ed autore di numerosi articoli su quelle giapponesi (17). I giapponesi dividono tipicamente i gruppi in bianchi e rossi, basandosi su un evento storico, la guerra di Genpei, tra i due clan rivali Genji ed Heike. I Genji usavano bandiere bianche per identificare le truppe sul campo di battaglia, mentre gli Heike le usavano rosse (18).

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Struttura del DOJO tradizionale

Il Dojo ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:

  • NORD   Kamiza (“posto d’onore”), che rappresenta la saggezza, è riservato al maestro (“Sensei”)      titolare del Dojo alle spalle del quale è appesa l’immagine del  fondatore (Ueshiba Morihei – O – Sensei) ;
  • EST        Joseki (“posto dei gradi alti”), che rappresenta la virtù, è riservato ai Senpai (compagni anziani in termini di pratica), agli ospiti illustri o in generale agli Yudansha (“cinture nere di grado Dan”);
  • SUD       Shimoza (“posto inferiore”), che rappresenta l’apprendimento, è riservato ai Mudansha (“senza grado Dan”);
  • OVEST  Shimoseki (“posto dei gradi bassi”), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto ma all’occorrenza è occupato dai 6° Kyu o Mukyu (“senza grado Kyu”).

 

L'ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra.

Il capofila di shimoza, usualmente il più anziano tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del Reiho.

 In particolare è incaricato di avvisare i compagni di pratica riguardo: l'assunzione della posizione formale in ginocchio seiza ("posizione formale"), del mokuso ("silenzio contemplativo") e del suo termine yame ("fine"), del saluto al fondatore shomen-ni-rei ("saluto al principale"), del saluto all'insegnante sensei-ni-rei ("saluto al maestro"), del saluto a tutti i praticanti otagai-ni-rei ("saluto reciproco"), e del ritorno alla posizione eretta kiritsu ("in piedi").
Nei dojo tradizionali, inoltre, vi è usualmente uno spazio adiacente alla parete dove vi sono conservate le armi per la pratica dei kata: bokken ("spada di legno"), tanto ("pugnale"), jo ("bastone"); e il nafudakake ("tabella dei nomi"), dove sono affissi in ordine di grado i nomi di tutti i praticanti appartenenti al dojo.

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Tornando alle origini

Parliamo spesso di Aikido, Judo, Karate, jujitsu e chi più ne ha più ne metta, ognuna di queste discipline con la propria peculiarità, ma una volta esisteva solo il Budo la via del guerriero.

Tutto nasceva dalla necessità di uscire vincitori o morire in battaglia; dovevi essere in grado di combattere corpo a corpo, a mani nude o con qualunque arma a disposizione questa era l’Arte Marziale.

Ogni tanto con i compagni di pratica si parla di questo e si ipotizza di poter sperimentare la coesistenza di tutte queste discipline e di quanto potrebbero essere propedeutiche alla nostra. Ebbene guardate questo video, potrete cogliere quanto c’è di comune.

Il potagonista è Kenji Ushiro sensei, maestro di karate di Okinawa stile Shindo Ryu.

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Oyo Henka

Il maestro Saotome sull'Oyo Henka, l'utilizzo costruttivo della resistenza alla tecnica.

Dura un'oretta.

 

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O-Sensei old school

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Endo sugli attacchi da shomen uchi.

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Endo Sensei – La rigidità della fretta

In questo video Endo Sensei inizia dicendo: "Quando si cerca di fare qualcosa, si diventa precipitosi <..>".

Un ottimo spunto di riflessione sul quale studiare e provare.

Per Ovo san: questo video dovrebbe ricordartene uno che hai proposto via mail poco tempo fa…

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